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GRASSI: SONO TUTTI UGUALI?

In sintesi

A partire dagli anni ’70 tutti i grassi sono stati additati come nemici della salute, nella convinzione che fare i dovuti distinguo sarebbe stato troppo complicato. La diffusione di alimenti “light” ci ha anche fatto credere di poter controllare meglio il peso riducendo il contenuto di grassi nella dieta, ma questo da un lato non era supportato da evidenze scientifiche, dall’altro ha innescato un aumento smisurato di zuccheri negli stessi alimenti per evitare di comprometterne l’appetibilità.

Negli ultimi anni, salvo pochi strascichi, stiamo iniziando a capire che i grassi non sono tutti uguali. Quelli insaturi svolgono un ruolo protettivo nei confronti delle cardiopatie e ulteriori benefici, tra i polinsaturi, li offrono gli omega-3, coinvolti in molte funzioni biologiche. Ad aumentare il rischio di cardiopatie sono invece i grassi saturi che troviamo soprattutto in carne e prodotti caseari, che quindi vanno limitati. Ancora più dannosi per la salute cardiovascolare e dunque da evitare il più possibile sono i grassi trans, prodotti per idrogenazione parziale di olii vegetali. 

Quanti tipi di grassi esistono?

Con il termine grassi solitamente si fa riferimento in generale ai lipidi. Si tratta di molecole idrofobiche, costituite da uno scheletro di atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno, presenti negli organismi viventi o derivanti da essi. Più raramente per grassi si intende una sottocategoria dei lipidi, quella degli acidi grassi, che costituiscono quasi tutti i grassi alimentari. Questi, a seconda della presenza e conformazione di doppi legami tra atomi adiacenti di carbonio, vengono classificati in:

  • saturi (SFA)
  • trans (TFA)
  • monoinsaturi (MUFA)
  • polinsaturi (PUFA)
 
È bene tener presente che la parte grassa di un alimento è sempre una miscela di acidi grassi diversi, in cui può prevalere una molecola o una di queste quattro categorie.  Inoltre essi non si presentano in forma libera, ma prima di essere trasportati fino al sito di utilizzo o deposito, vengono esterificati con una molecola di glicerolo, a formare i mono- ,di- o trigliceridi.
classificazione acidi grassi

I grassi saturi a catena corta

Una sottogruppo degli acidi grassi saturi, ovvero quelli a catena corta (SCFA) sono caratterizzati da una ridotta catena carboniosa (meno di 6 atomi di carbonio) che li rende idrosolubili e non esterificabili.

Queste molecole sono prodotte dalla fermentazione intestinale della fibra solubile e di altri carboidrati non digeriti. I loro maggiori rappresentanti, l’acido propionico e quello butirrico, possono costituire una fonte d’energia sia per il microbiota che per le cellule umane. L’acido butirrico, in particolare, sembra avere un ruolo importante nella trofia della mucosa intestinale e agire anche come fattore epigenetico. Dobbiamo quindi considerare i grassi a catena corta come una categoria a parte, un potenziale alleato della salute che ci conferma l’importanza centrale della fibra alimentare nella dieta.

grassi saturi a catena corta

I grassi trans

La maggior parte dei grassi trans sono entrati a far parte della dieta di milioni di persone, a partire dagli anni ’90, con la diffusione della margarina vegetale, che si proponeva come alternativa più salutare ed economica al burro. Le prime margarine infatti  venivano prodotte tramite l’idrogenazione ad alta temperatura di olii vegetali. Questo processo industriale consiste nel saturare con atomi di idrogeno i doppi legami presenti nei grassi insaturi, conferendo così una conformazione più rigida, che di traduce in consistenza solida.

idrogenazione

A questo punto si potrebbe dire: “poco male, abbiamo prodotto grassi saturi da grassi insaturi”. Ma l’idrogenazione non è mai completa e produce, oltre ai grassi saturi, una piccola quantità di grassi trans, ovvero molecole che hanno ancora un doppio legame, ma con gli idrogeni in posizione trans (diversa rispetto ai grassi insaturi originari). Decenni di studi epidemiologici hanno mostrato che questa tipica conformazione rende i grassi trans ancora più dannosi dei grassi saturi. Infatti essi sono efficaci nell’aumentare i trigliceridi e i livelli di colesterolo LDL, nell’abbassare quelli di HDL (il “colesterolo buono”) e nel promuovere i processi infiammatori e l’insulino-resistenza

Davanti a tale presa di coscienza il mercato delle margarine e dei grassi vegetali solidi si è sensibilmente adeguato. Sebbene i processi di idrogenazione siano diventati sempre più efficienti e producano meno grassi trans, si preferisce l’utilizzo di olii vegetali, come quello di cocco e di palma, già naturalmente ricchi di grassi saturi.

grassi trans

I pochi produttori che ancora optano per l’uso grassi vegetali idrogenati devono indicarli in etichetta. Ma è probabile che ne vedremo sempre meno dato che l’OMS ha dichiarato di volerli mettere al bando e molti Paesi ne hanno già regolamentato l’uso.

Esistono altre fonti di grassi trans? Sì, l’idrogenazione può verificarsi anche in modo accidentale se i grassi insaturi sono sottoposti a temperature troppo elevate. È presumibile che ad esempio i fritti dei fast food siano più esposti a tale rischio. Infine esistono grassi polinsaturi, che a seguito di processi fermentativi presentano un doppio legame trans. Una commissione  FAO/OMS ha tuttavia stabilito debbano essere distinti da quelli di origine industriale in quanto solo questi ultimi risultano dannosi per la salute. Sono quindi da definirsi trans solo quei grassi che presentano un solo doppio legame trans o più doppi legami non coniugati (ovvero separati da almeno un gruppo metilenico) di cui almeno uno in conformazione trans. 

grassi monoinsaturi

I grassi monoinsaturi

Sono classificati come monoinsaturi quei grassi che presentano un solo doppio legame (cis) lungo la catena carboniosa, che assume così l’aspetto di un’asta deviata. Altra conseguenza del doppio legame è che ci sono due atomi in meno di idrogeno rispetto ai corrispettivi grassi saturi, il che conferisce una consistenza più liquida al grasso che li contiene. 

I grassi monoinsaturi abbondano nella maggior parte degli olii vegetali, ma ne sono ricchi anche la frutta a guscio e l’avocado. Consumare regolarmente fonti di grassi monoinsaturi, soprattutto se in sostituzione di quelli saturi, può abbassare i livelli di colesterolo LDL. Questa evidenza, emersa già nel Seven Nation Study di Ancel Keys, che ha definito la dieta mediterranea (di cui l’olio d’oliva è uno dei pilastri), è confermata anche da studi epidemiologici più recenti.

I grassi polinsaturi

Come suggerisce il nome i grassi polinsaturi sono caratterizzati da due o più doppi legami, che quindi causano più ripiegamenti allo scheletro carbonioso e conferiscono una consistenza liquida. La direzione che prende il ripiegamento dipende dall’isomeria, che è solitamente di tipo cis.  Più raramente possiamo trovare anche doppi legami con isomeria trans, ma come dicevamo, si differenziano da quelli ottenuti per idrogenazione ad alte temperature perché sono coniugati. Come si vede dalla struttura molecolare del CLA, che appartiene a questa categoria, i doppi legami, di cui uno trans, non sono distanziati da gruppi metilenici. Queste molecole, che possiamo ritrovare in latte e carne, non sono da ritenersi nocive.

Tutti i grassi polinsaturi sono definiti essenziali perché hanno un ruolo in molte funzioni biologiche ma l’uomo non ha la possibilità di sintetizzarli e deve quindi assumerli con la dieta. A seconda della posizione dell’ultimo doppio legame essi sono ulteriormente suddivisi in omega-3 e omega-6. Queste due gruppi di molecole sono coinvolti in molte funzioni, assumendo ruoli spesso contrapposti. 

Gli omega-3 di origine alimentare sono principalmente 3:

  • acido alfa-linolenico (ALA), che possiamo trovare in molti olii vegetali, nelle noci, in semi di lino e chia, nelle verdure a foglia e nel grasso di animali alimentati ad erba;
  • acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA), chiamati omega-3 marini perché abbondano in pesci grassi come aringa, sgombro, sardina, salmone.
Questi grassi sono coinvolti in molti processi biologici come la costruzione delle membrane cellulari, la sintesi di alcuni ormoni, la coagulazione del sangue, la regolazione del tono dei vasi sanguigni e l’infiammazione. La regolare assunzione di omega-3 con la dieta apporta molti benefici, tra cui un effetto protettivo nei confronti delle cardiopatie e il contenimento dei processi infiammatori. Da non trascurare però è la loro vulnerabilità ai processi ossidativi; per questo gli alimenti che li contengono andrebbero protetti da aria, luce e calore eccessivi. 

Gli omega-6 abbondano nell’olio di mais, di soia, di arachidi e di semi, ma li possiamo trovare anche nella frutta a guscio e nelle verdure a foglia. Rispetto agli omega-3 svolgono spesso un ruolo opposto e per questo una dieta equilibrata dovrebbe prevedere un buon rapporto omega-6/omega-3, idealmente 4/1. Le diete occidentali sono però mediamente deficitarie in omega-3 (il rapporto stimato è di 16/1) e le evidenze sul loro ruolo protettivo, nonché la generale raccomandazione di aumentarne il consumo nascono proprio da questo. Affermare, come spesso succede, che gli omega-6 siano dannosi è quindi estremamente sbagliato. Dobbiamo assicurarci un apporto equilibrato di entrambe queste classi in modo che i processi in cui sono coinvolti (l’infiammazione, la coagulazione, la vasodilatazione, ecc.) non siano sbilanciati in un senso o nell’altro.

Per concludere

Della guerra ai grassi cominciata negli anni ’70 sono rimaste poche tracce. Questo ha dei risvolti positivi innanzitutto perché, come abbiamo appena visto, i grassi non sono tutti uguali, ma possono essere essenziali, protettivi o dannosi a seconda della loro natura chimica. Inoltre, ridurre il contenuto di grassi ha purtroppo spinto l’industria alimentare ad aumentare il contenuto di zuccheri, con ripercussioni che possiamo ipotizzare. Non bisogna trascurare infine altri due benefici associati all’assunzione di grassi: favorire l’assorbimento delle vitamine liposolubili e modulare la glicemia, rallentando lo svuotamento intestinale. 

Ma negli ultimi anni i grassi stanno addirittura vivendo un momento di esaltazione grazie ai sostenitori della dieta chetogenica, i quali  hanno individuato un altro nemico pubblico: i carboidrati. A questo proposito vorremmo ricordare, come sempre, che alla base del sovrappeso c’è sempre un surplus di energia, che esso derivi da carboidrati, grassi o proteine.

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